Ma veniamo al fantasma centrale che ho citato dianzi, il fantasma di auto-generazione. Fantasma è detta una produzione inconscia della vita psichica, produzione che evolve con l’evolvere della configurazione psichica. Autogenerazione: “essere a se stesso il proprio ed unico generante”. Ma attenzione, lo stesso concetto di fantasma suscita un problema in questo caso; Recamier ricorre di fatto al concetto di fantasma – non-fantasma. La particolarità di questo fantasma di autogenerazione è quella di essere nella sua essenza e nella sua pretesa negazione e uccisore di fantasmi, di agire cioè nel senso di un processo di desertificazione psichica.
Quindi, il fantasma di essere a se stesso il proprio generante si basa su un diniego, il diniego delle origini e delle differenze, il diniego delle proprie origini (nega le premesse di base di ogni esistenza, quelle per cui la propria vita è dovuta ad altrui, e non è il risultato di una sola persona, ma dell’incontro di due persone).
Si manifesta attraverso la degradazione della vita fantasmica, la desertificazione, la vacuità e l’assenza.
Nell’ambito della famiglia, famiglia che presenta caratteristiche di blocco monolitico, invarianza, bozzolo chiuso, si regge sul segreto, e si incarna e si polarizza nel cosiddetto “figurante predestinato” (incarnazione del genio e dell’ideale di una famiglia autosufficiente, autogenerata). La patologia di tali famiglie si evidenzia nella confusione e nella intercambiabilità delle generazioni (o nella trasgressione delle differenze generazionali, di cui manifestazione estrema è l’incesto).
Sul piano individuale il risultato evidente nella psicoterapia è la difesa del transfert, l’incapacità di vivere una reale relazione di transfert.
P.C. Racamier descrive un processo tipico delle manifestazioni patologiche dell’Antiedipo, a cui aggancia le manifestazioni del delirio e del paradosso. Vediamolo.
La vacuità fantasmatica, di cui si è detto, si autoconserva contemporaneamente aggravandosi, fino a quando un qualche processo interno o esterno (tipicamente una pressione biologica attraverso lo sviluppo adolescenziale) produce un’incrinatura del regime autarchico famigliare: la famiglia reagisce serrando i ranghi, e all’interno di essa il membro più debole, appunto il “predestinato”, ne subisce il contraccolpo attraversando le fasi della crisi psicotica, e finendo per essere travolto nella catastrofe psicotica. Qui l’autore riprende le sue precedenti riflessioni sulla psicosi e il delirio, che dal 1956 in poi ha continuato a modellare e a sviluppare. Ma arriva in questo Antiedipo a proporre la sua tesi nuova e conclusiva del delirio come oggetto le cui origini sono attivamente denegate.
Al delirio egli si avvicina, come altra fondamentale manifestazione della patologia psicotica la paradossalità, o meglio le organizzazioni difensive e relazionali fondate sulla paradossalità, definita come “ciò che organizza circuiti psichici e relazionali le cui origini non sono ritrovabili”. (Il paradosso viene definito: “due proposizioni inconciliabili e inseparabili che rinviano indefinitivamente l’una all’altra senza mai scontrarsi”).
E tuttavia l’Antiedipo non è solo legato alla patologia né solo legato alla catastrofe – questo è un punto fondamentale nella concezione attuale dell’autore, che piano piano è andato evolvendosi dagli inizi, quando la scoperta dell’Antiedipo era sostanzialmente legata alle situazioni patologiche.
Sarebbe un assurdo equivoco pretendere di eliminare l’Antiedipo, (tanto quanto la pretesa di “risolvere” una volta per tutte l’Edipo). Anzi, l’Antiedipo cosiddetto “ben temperato”, è ciò che permette all’individuo umano di connettersi nella serie delle generazioni con il sentimento delle sue origini, cioè della sua unicità personale, ma con un senso di familiarità creatrice con il mondo che lo circonda, così che genitori e figli, uomini del presente e loro antenati si sentono “autori associati di una costruzione vivente e visibile”. E per tali ragioni l’Antiedipo è anche alle sorgenti della creazione artistica.
Infine, quali le vie della terapia? La via della terapia passa attraverso la posizione del terapeuta come “terzo osservante”, come chi sa essere presente (talora assumendo solo la posizione di ascolto) senza essere assorbito e senza essere estraneo e impermeabile, ovvero che sa identificarsi senza confondersi. L’interpretazione ha un compito privilegiato: operare il passaggio dal non-fantasma al fantasma, ovvero reintrodurre il registro dell’immaginario là dove si era perso. E ciò vale non solo per l’individuo, ma anche per la famiglia. Tanto più che in molte situazioni, l’unica via di avvicinamento possibile, per quanto più sopra è stato detto, è proprio la famiglia.