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Il dialogo tra l’intrapsichico e l’interpersonale: una prospettiva evolutiva

Daniel N. Stern

Tratto da Interazioni, 0/1992:77-88

Traduzione di Alessandra Faccenda.
Tratto dalla rivista Cahiers critiques de thérapie familiale et de pratiques de réseaux, vol. 13, 1991, 47-57, ed. Privai, Toulouse Cedex, Francia.

II dialogo tra l’intrapsichico e l’interpersonale è al centro delle concettualizzazioni psicodinamiche e sistemiche. Al di là delle differenze tra scuole terapeutiche, bisogna tener conto del fatto che esistono degli individui separati, con dei mondi rappresentativi separati, che interagiscono gli uni con gli altri e che queste interazioni sono a loro volta il risultato e l’elemento determinante dei mondi rappresentativi di ciascuno. Allo stesso modo il senso della loro individualità è un prodotto e una causa di questa dialettica tra intrapsichico e interpersonale. Una prospettiva evolutiva potrebbe chiarire questo dialogo fondamentale? In questo articolo mi propongo di esplorare questa tematica.

Una prospettiva clinica

Inizierò con qualche osservazione clinica. La psichiatria infantile e il trattamento delle relazioni disturbate tra genitori e figli sono campi relativamente nuovi. Storicamente, l’impulso principale è derivato dalla tradizione psicodinamica che attribuiva una posizione privilegiata all’intrapsichico (4, 8 ,7). Tuttavia, per ragioni più pratiche che teoriche, queste terapie sono state sempre condotte (tranne qualche eccezione) in un contesto contrastante per il suo aspetto sistemico. Il (i) genitore (i) e il bambino (il sistema di base) sono ricevuti dal terapeuta nello stesso luogo; l’azione terapeutica inizia così. Essa può incentrarsi sui fantasmi dei genitori, sul passato, o anche sul transfert nei confronti del terapeuta (cioè, restare principalmente nel dominio intrapsichico dei genitori). Può ugualmente concentrarsi sull’interazione dei genitori con il bambino nel qui ed ora; in alcuni momenti, direttamente sul comportamento interattivo dei genitori e, in altri, su quello del bambino, talvolta sulla loro reciprocità ma, in ogni caso, sempre nell’ambito interpersonale-interattivo. Il focus terapeutico può ancora riguardare i fantasmi del bambino o le sue rappresentazioni, così come il terapeuta può immaginarseli e verbalizzarli. In questo caso torniamo nel dominio dell’intrapsichico, ma questa volta del bambino.

La situazione è ben illustrata da un modello schematico di Stern-Brun-Scweiler e Stern (16) che si presenta nel modo riportato nella pagina seguente.

Questo modello rivela che la maggior parte dei terapeuti che lavorano con l’unità genitori- bambino secondo un orientamento psicodinamico si muovono tra il punto 1 e 2 e qualche volta il punto 3, cioè fanno andata e ritorno tra l’intrapsichico e l’interpersonale, utilizzando ciascuna di queste aree per costruire e arricchire la comprensione dell’altra. Anche quando il (la) terapeuta pensa che il suo compito sia di modificare il mondo rappresentativo dei genitori (alleggerendo così le perturbazioni del bambino), ritiene comunque utile e necessario utilizzare le interazioni reali come fonte d’informazione e di interrogativi e, insieme, come «arena» per l’interpretazione: ad esempio, per mostrare ai genitori come un fantasma basato sulla loro esperienza passata è messo in atto nell’interazione attuale con il bambino. In termini psicoanalitici si potrebbe dire che l’interazione è un campo necessario per il processo di «rie-laborazione» in questo sistema particolare.

Per andare un po’ più lontano in questa direzione, molti clinici e teorici si sono chiesti come i fantasmi e i temi conflittuali dei genitori potevano finire per influenzare i fantasmi e i temi conflittuali del bambino (questo è un aspetto particolare del problema del «transfert intergenerazionale»). Nel sistema genitore-bambino è importante, anzi necessario, considerare gli eventi interattivi osservabili come i soli mediatori tra il mondo intrapsichico dei genitori e quello del bambino, dato che quest’ultimo è un partner non-verbale in questo transfert. Di recente sono stati pubblicati degli studi in cui si cerca di mostrare come le fantasie di una madre sono messe in atto nell’interazione comportamentale con il bambino, per aiutare a formare nella mente di quest’ultimo dei fantasmi complementari (1).

Per riassumere la situazione clinica attuale, una delle caratteristiche principali del modello schematizzato qui sopra è che tutti gli elementi (le rappresentazioni dei genitori, i comportamenti interattivi osservabili di genitori e bambino e le rappresentazioni di quest’ultimo) sono supposti ampiamente interdipendenti, in una relazione d’influenza reciproca in movimento perpetuo. Questo modello predice teoricamente che poco importa da dove si entra nel sistema per cambiarlo dal punto di vista terapeutico. Se un approccio psicodinamico centrato sulla rappresentazione dei genitori riuscisse a cambiare queste rappresentazioni, si avrebbe inevitabilmente anche un cambiamento nel comportamento interattivo della madre (in quanto messa in atto di queste rappresentazioni modificate). Di conseguenza, ne seguirebbe un riaggiustamento nel comportamento osservabile del bambino in risposta alle modificazioni di quello materno, che sarà allora necessariamente accompagnato da un cambiamento nelle rappresentazioni del bambino, in modo da rendere conto delle nuove realtà interattive.

Allo stesso modo, se l’interazione terapeutica fosse stata diretta con successo sul comportamento materno osservabile, attraverso un approccio «comportamentale», la madre avrebbe dovuto cambiare la sua rappresentazione e così di seguito. In effetti i risultati preliminari di uno studio concernente due forme di psicoterapia breve su relazioni madre- bambino disturbate sono finora approssimativamente simili. Si tratta, da una parte, di un approccio ispirato alla psicoanalisi, che si indirizza principalmente al mondo rappresentativo della madre e, dall’altra, di un approccio comportamentale psico-educativo, che si rivolge principalmente al comportamento interattivo. Le due terapie hanno trasformato molto sia le rappresentazioni della madre e i suoi comportamenti interattivi che i comportamenti interattivi e i sintomi del bambino (2,15).

Così la problematica teorica intrapsichico-interpersonale come area fondamentale da considerare nella valutazione terapeutica di relazioni disturbate genitori-figli sembra aver perduto molta della sua importanza. Tuttavia resta un problema pratico e tecnico, perché è probabile che emergeranno delle indicazioni differenti per approcci diversi con popolazioni diverse, che si riveleranno utili dal punto di vista clinico.

Si potrebbe pensare che la situazione descritta qui sopra sia specifica della relazione genitori- bambino a causa della sua estrema asimmetria. Nei trattamenti individuali tradizionali per adulti, soprattutto quando si svolgono sul divano in cui ogni interazione è tagliata fuori, è facile praticamente e coerente teoricamente concentrarsi in primo luogo sull’intrapsichico (il transfert è l’eccezione). Allo stesso modo, nelle situazioni di trattamento familiare o di gruppo, è necessario e coerente concentrarsi all’inizio, ma non esclusivamente, sull’interazione. È in parte l’asimmetria propria della situazione genitori-figli che ha portato a considerare in modo quasi uguale l’intrapsichico e l’interattivo. Questa asimmetria conduce a supporre che è principalmente il materiale intrapsichico di uno dei partners (il genitore) che produce un’influenza dominante sull’interazione. In questo senso, l’interazione è a volte trattata come un altro teatro della vita intrapsichica del genitore; ma per il bambino innegabilmente è nel campo interpersonale-interattivo che tutto ciò avviene (questa situazione ha un parallelo in psicoanalisi dove il transfert -come interazione- è considerato come una pura espressione della realtà intrapsichica del paziente e risulta in gran parte dalla asimmetria della situazione psicoanalitica).

La prospettiva clinica delle terapie dei bambini tende a dare un peso relativamente uguale all’interpersonale e all’intrapsichico, ma con un movimento costante tra quello che potrebbe essere testo e quello che potrebbe essere contesto. Può un’ottica più teorica o sperimentale, meno ingombra di realtà cliniche, darci una visione diversa?

 

Una prospettiva teorica

Sulla prima infanzia esistono due concezioni opposte. Nella prima, l’intrapsichico è in primo piano e l’interattivo è il rampollo. Mi riferisco all’opera di Melanie Klein che rappresenta al meglio questa posizione. Dalla nascita, la mente del bambino contiene delle fantasie inconsce, aspetto psichico (espressione mentale) degli istinti. Le fantasie inconsce costituiscono il mondo rappresentativo primario, l’intrapsichico. Questo mondo rappresentativo è necessario per selezionare, definire e interpretare «la realtà interattiva». La fantasia inconscia non è semplicemente il contesto nel quale l’interazione non sarà che un evento fortuito; l’interazione (come evento psichico) è creata dalla fantasia inconscia.

In questa posizione non solo il mondo intrapsichico appare come il «genitore» del mondo interpersonale, ma non c’è nemmeno dialogo tra questo genitore e il suo rampollo. Infatti la natura dei fantasmi intrapsichici è necessariamente determinata dallo statuto degli istinti e legata ad essi e gli istinti sono determinati dalla costituzione e dall’evoluzione, che restano al di fuori e al di là del dominio dell’evento interattivo di ogni individuo.

All’altro estremo, l’interattivo viene in primo piano e genera il mondo intrapsichico, il suo

«rampollo». In questa prospettiva, il bambino viene al mondo con la mente libera di contenuti, con semplicemente delle capacità per costituire gradualmente un mondo rappresentativo intrapsichico. Sono le interazioni con il sé e gli altri che costituiscono la prima esperienza sulla quale queste capacita innate operano per creare dei mondi rappresentativi. L’interpersonale è genitore dell’intrapsichico e un dialogo di influenze reciproche si instaura gradualmente tra genitore e rampollo; ma, all’inizio, è l’interazione che è in primo piano e questo «inizio» dura il tempo necessario a ogni nuova categoria di esperienze per divenire una rappresentazione, un «nuovo inizio». In questo modo la posizione privilegiata di primo genitore che è attribuita all’interpersonale «interattivo» non viene mai ceduta. Questa prospettiva si basa ampiamente su un modello di apprendistato nel quale l’esperienza interattiva con il «mondo reale» si struttura nell’intrapsichico. Ma in questo approccio che ne è del fantasma e della distorsione? In breve, come una rappresentazione intrapsichica può deformare quello che avviene nella realtà? Mentre la domanda-chiave per la prima posizione, più innatista, è: come una «realtà interattiva» può esercitare un’influenza significativa sulla «realtà intrapsichica»”?

La maniera in cui sono state descritte queste due posizioni è sicuramente esagerata e certamente nessuno potrebbe più sostenerle seriamente in questa forma estremizzata. Tuttavia noi partiremo proprio da queste due posizioni così come le abbiamo delineate, per individuare un’area intermedia.

Se partiamo dal punto di vista dell’apprendistato, cioè dal presupposto che tutto è generato dalla «realtà» interattiva, resta l’interrogativo su come ridurre fantasmi e distorsioni. C’è però anche un problema preliminare. Quali sono infatti le unità o gli eventi o gli stimoli salienti che vanno a comporre questa «realtà interattiva» e che potrebbero permettere di identificarla e di definirla? Siamo immediatamente rinviati a qualche risposta innatista: i sistemi sensoriali e percettivi del bambino sono preformati per individuare alcuni tratti dell’ambiente (ambiente interattivo) come più o meno salienti, cioè identificabili. La ricerca sul bambino è stata particolarmente fertile in questo senso perché ha permesso di rilevare i numerosi eventi ambientali per i quali il bambino è preformato; ad esempio, il viso umano (o almeno i suoi tratti) o la voce umana. C’è, dunque, una prestrutturazione intrapsichica che permette l’identificazione e la valutazione della «valenza» degli eventi interattivi.

Ma in questo modo non abbiamo riproposto l’argomento di base dei kleiniani? No, perché la prestrutturazione intrapsichica in questione concerne delle capacità percettive e non degli istinti. Essa è più limitata alla valutazione percettiva e affettiva, non attribuisce dei significati o delle intenzioni, ed è in interazione costante con gli stimoli esterni per poterne trattenere la struttura e la funzione.

Malgrado queste distinzioni importanti, la prestrutturazione non risolve interamente il problema dell’identificazione dei ruoli rispettivi dell’interazione e dell’intrapsichico. Ad esempio, la fantasia inconscia della Klein o di Freud ha qualche ambiguità dal punto di vista concettuale: contiene una rappresentazione mentale non solo dell’istinto, della sua origine e della sua forza energetica, ma anche della sua meta e del suo oggetto. Sono questi due ultimi aspetti che pongono dei problemi. Se si può immaginare una sorta di impronta psichica dell’istinto che precede ogni esperienza interattiva, è molto meno agevole farlo con il suo oggetto e la sua meta, perché sono intimamente legati alle interazioni. Ora i kleiniani (1962) ritengono che deve esistere, a titolo di fantasia inconscia indotta geneticamente e biologicamente, un’impronta psichica della meta e dell’oggetto. Ciononostante, Freud si riferisce abitualmente a delle tracce mnestiche delle interazioni vissute come base per la meta e l’oggetto delle fantasie inconsce. Se si accetta che una fantasia inconscia ha almeno quattro componenti (un’origine, una forza, una meta e un oggetto) e che la forma di questa meta e l’oggetto della fantasia provengono dall’esperienza interattiva, allora la «purezza» della fantasia inconscia, come prodotto d’origine esclusivamente intrapsichico, è molto mitigata. Parlo dal punto di vista teorico e non da quello clinico. Nella clinica, infatti, si va sempre alla ricerca dei contributi dell’esperienza interattiva passata; è nella teoria che questi contributi sono in discussione (1). Ora lo stesso problema si pone quando si affronta il tema della prestrutturazione dal punto di vista della «percezione». Gli psicologi che lavorano nella tradizione di Gibson (5) parlano di «prodotti sociali» (social affordances), elementi dell’ambiente che sono immediatamente percepiti e che producono (afford) certi tipi di azione e di interazione (9). La forma percepita e le interazioni che essa permette e sollecita sono a loro volta specificate nell’ambiente e direttamente percepite, sono, cioè, anche dei fenomeni mentali. Anche qui ci troviamo di fronte alla stessa ambiguità.

Ritorniamo al nostro modello d’apprendistato e lasciamolo operare nelle «realtà interattive» che sono, di fatto, state rese possibili dalle strutture intrapsichiche innate. Ad esaminarlo più da vicino, il modello d’apprendistato è in realtà un modello costruttivista. Il bambino non fa che assimilare le realtà interattive che è stato preparato a sperimentare ed agisce su di esse. È programmato per evitare gli elementi che restano costanti, le «invarianti», nella sua esperienza ripetuta con il mondo. È identificando le costellazioni di invarianti che egli può cominciare a categorizzare la sua esperienza interattiva. Ma le sue esperienze non sono che raramente identiche. L’esperienza di Mark Strauss (17) illustra bene quello che il bambino fa per costruire e mantenere delle categorie in un mondo che cambia. Si mostra al bambino una serie di disegni di un viso: ogni disegno è diverso, ma rappresenta grosso modo lo stesso viso. Su uno il naso è piccolo, sull’altro le orecchie sono spostate verso l’alto o verso il basso, ecc. Una volta presentata la serie, si rivolge al bambino la domanda seguente: «Adesso ti mostrerò un’altra serie tu dimmi qual è il disegno più rappresentativo, più vicino alla serie che hai visto prima». Ebbene, il bambino sceglierà un disegno che non ha mai visto, un disegno che corrisponde alla media matematica di tutte le disposizioni differenti dei tratti del viso che gli sono state presentate. Questo significa che, ogni volta che vede un disegno, il bambino forma una categoria che modificherà gradualmente in base alle nuove immagini. È una forma di media corrente. È affascinante, perché il bambino terminerà con il prototipo di un viso che non esiste: in qualche modo è un fantasma, una fantasia che mostra come funziona la mente, una fantasia che è creata dall’operazione dei processi mentali su dei dati mai identici. In questo modo il bambino si forma un prototipo, ma la memoria prototipica non corrisponde più al ricordo specifico di un evento storico particolare. È infatti una rappresentazione astratta a partire da una serie di ricordi particolari, e la sua corrispondenza con un fatto reale può essere molto limitata.

Il processo stesso di formazione di prototipi ha dunque «falsificato» la nostra «realtà». È nel processo stesso che concorre a rendere l’esperienza più utile possibile che «la distorsione» è stata introdotta (2).

È in questo senso che le rappresentazioni generalizzate (Rig, 15) del bambino sulle sue interazioni con i genitori sono già delle costruzioni a partire dalla realtà così come viene vissuta. Infatti le rappresentazioni sono per necessità delle costruzioni après coup.

Riassumendo, abbiamo fin qui delle pre-strutture intrapsichiche che dividono il mondo in eventi interattivi che sono costruiti mentalmente in modo da ordinare il mondo e creare delle strutture intrapsichiche (rappresentazioni); queste ultime sono delle astrazioni un po’ slegate dagli eventi interattivi da cui hanno avuto luogo. Alla prossima tappa, queste nuove strutture intrapsichiche sono ritrasformate in esperienze interattive secondo forme culturali e sociali (come, ad esempio, le streghe, il lupo mannaro o i mostri), intrecciate a delle interazioni generiche e ad affetti specifici con dei pesi morali. E queste interazioni si riorganizzano e si ricostruiscono.

Arriviamo così dal lattante al bambino di 3-4 anni, per il quale il paesaggio mentale è variato, corrisponde a una realtà comune e può essere altrettanto idiosincratico dei mondi interiori che incontriamo nella pratica clinica. Per arrivare a questo punto siamo passati numerose volte da eventi interattivi determinati da strutture intrapsichiche a strutture intrapsichiche costruite a partire da eventi interattivi – una dialettica infinita che crea delle organizzazioni sempre più elevate.

La considerazione di qualche aspetto teorico della prima infanzia non ci ha portato molto al di là degli insegnamenti della situazione clinica. Il testo e il contesto giocano a cavallina nel corso dello sviluppo così come fanno in terapia.

 

Una prospettiva di ricerca

Prenderò come esempio di ricerca un lavoro recente sulla memoria. La memoria è sempre stata l’elemento chiave nella patogenesi e nella terapia. Dunque considereremo il posto della memoria da un punto di vista evolutivo nella dialettica intrapsichico-interattivo. Un modo di far questo è di domandarsi dove risiedono i ricordi, i ricordi che permettono al passato di influenzare il presente e che assicurano la continuità e la ripetizione. Una delle differenze fondamentali tra l’approccio psicoanalitico tradizionale e un approccio sistemico radicale consiste nella localizzazione, per così dire, dei ricordi importanti dal punto di vista clinico. Ovviamente nell’approccio psicoanalitico i ricordi risiedono nella rimembranza da parte dell’individuo della sua esperienza soggettiva passata. In un approccio sistemico radicale la memoria risiede nelle pratiche, nelle tradizioni e nei paradigmi attuali del gruppo. D’altra parte «la memoria» (l’equivalente della rimembranza nel soggetto) non è attivata che quando gli individui si trovano insieme in un’interazione di gruppo. In questa maniera la fonte dei ricordi che assicura la continuità di alcuni comportamenti esiste solo quando le persone interagiscono (12). Non risiede in un individuo dato, non deve essere stata creata storicamente come una parte della sua esperienza diretta. Questo non significa che gli individui non hanno dei ricordi individuali del loro passato, ma piuttosto che le strutture della memoria importanti dal punto di vista clinico – pratiche, tradizioni, paradigmi – sono costruite a partire da una sorta di combinazione dei ricordi individuali attivati, che è maggiore della somma delle sue parti collettive.

Queste due posizioni sembrano molto lontane, ma forse non lo sono così tanto come sembra se si prosegue nel ragionamento.

Un punto di vista corrente nella ricerca attuale sulla memoria autobiografica (10,13) suggerisce che quasi tutti i ricordi sono ricostruiti sotto l’influenza del contesto presente nel quale essi sono richiamati. Tutto questo non differisce molto dalla nozione psicoanalitica dell’aprés coup come ricontestualizzazione. Tuttavia è vero che nelle tendenze attuali di pensiero non troviamo riferimento a tracce di memoria che corrispondono a delle esperienze storiche intatte, come Freud proponeva. Troviamo solo dei frammenti non organizzati che sono sottomessi al processo di ricontestualizzazione ogni volta che sono attivati. In altri termini, essi non esistono in una forma integrata, come tracce significative che sarebbero conservate. L’integrazione dei frammenti non produce che al momento della rimembranza nel presente: così anche i frammenti sono soggetti a deviare dalla realtà «storica».

Visto in questo modo, ogni ricordo ricordato-costruito in un setting interattivo sistemico deve il suo carattere al contesto sistemico in gioco in quel momento. È in questo senso che la memoria risiede nell’interazione del gruppo. Lo stesso avviene nel processo psicoanalitico tradizionale: la memoria deve il suo carattere allo stato transferale e al materiale intrapsichico attivato in quel dato momento. È il presente, non il passato, che si è sempre in procinto di riconoscere e di ricordare (3). Così la differenza iniziale tra psicoanalitico e sistemico – per quanto riguarda il monopolio sulla memoria – scompare a vantaggio di una differenza più triviale di setting.

La ricerca evolutiva spinge questo punto di vista ancora più lontano Attualmente è in corso un dibattito tra ricercatori nel campo della memoria del bambino concernente la natura e l’entità dell’amnesia infantile. K. Nelson (11) sostiene che i bambini non ritengono inizialmente dei ricordi specifici, occupati come sono a costruire dei ricordi prototipi. Durante il processo di costruzione, i ricordi specifici sono utilizzati per confermare o modificare il prototipo che si sta sviluppando, per essere poi abbandonati e scomparire. Ciò suggerisce che solo quando un prototipo sufficientemente ben formato si è stabilito, c’è qualche cosa

«contro» cui si può ricordare; cioè, i ricordi specifici sono impressioni di variazioni significative intorno ad una rappresentazione. È in questo senso che il contesto presente assume la massima importanza per i bambini. La memoria stessa non si produce che all’interfaccia tra l’intrapsichico (rappresentazione) e una interazione presente specifica. Né l’uno né l’altra da soli detengono l’esclusività della memoria.

Per concludere, la biologia ha sempre avuto bisogno della dialettica tra natura ed esperienza. Questa opposizione apparente si è rivelata uno strumento euristico valido, ma nessuno più oggi riterrebbe seria e utile una discussione in favore del prevalere dell’una o dell’altra. L’attenzione si è rivolta verso la loro interazione.

Per le psicologie cliniche, la controversia natura-ambiente ha preso la forma dell’opposizione intrapsichico-interattivo. Tradotta in termini terapeutici, è diventata l’opposizione tra approcci psicoanalitici e sistemici. Suppongo che questa controversia che ha imperversato, come fase necessaria nella ?manca una parola? del nostro campo, sarà presto anacronistica e di poca importanza. L’attenzione si rivolgerà verso le questioni più produttive della natura dell’interfaccia dinamica tra intrapsichico e interattivo e dei processi di cambiamento che vi si svolgono. Per adempiere questo compito, le frontiere tra intrapsichico e interattivo devono essere mantenute e meglio definite concettualmente e operativamente, ma non al servizio della «vecchia» controversia.


Note

  1. Per un approfondimento di questo problema nella prospettiva della teoria delle relazioni oggettuali in psicoanalisi, rimando il lettore al contributo di Sandler (14).
  2. È vero che il tipo di distorsione matematica messa in evidenza nell’esperienza di Strauss non è molto interessante sul piano Tuttavia se immaginiamo che certi elementi dell’esperienza siano più o meno investiti di affetti e che le regole di formazione del prototipo divengano sempre più complicate in una situazione di questo tipo, allora tutto questo diventerà sufficientemente ricco da essere interessante dal punto di vista clinico.

Bibliografia

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