Per cogliere la natura del segreto è opportuno porlo a confronto, secondo un rapporto di figura-sfondo, con il mito.
Segreto è ciò che è separato e diviso e di cui si ha consapevolezza. È il non-detto relativo ad eventi-avvenimento e fatti personali.
È possibile opporlo al mito proprio in quanto quest’ultimo si avvale in- vece della forza della dimenticanza-oblio e della presenza di fantasie inconsce; Tant’è vero che dobbiamo penetrare nella procedura narrativa e nella tematica del mito stesso per cogliervi le domande cruciali che gli estensori-produttori hanno cercato di evitare di porsi e da cui hanno inteso allontanarsi. Come ben sappiamo come uomini ci allontaniamo da ciò che crea eccesso (annichilimento, terrore panico, dolore intrattabile, ma anche stupore e mera- viglia).
Sempre per favorire il lavoro di differenziazione che ci permette di cogliere la specificità del concetto, diremo che le azioni inerenti il Segreto sono quelle di nascondimento e di svelamento, mentre quelle inerenti il mito sono quelle di narrazione e di rivelazione. Nell’un caso, dunque, si toglie il velo, mentre nell’altro si accoglie (si comprende) ciò che non è noto, o, se si vuole, manifesta la verità affettiva.
Zapparoli G.C. (1987), ad esempio, in un importante lavoro sui rapporti tra psicosi e segreto ha proprio inteso, con tale termine, riferirsi a fantasie inconsce (dunque al mito) che popolano la mente del paziente relative al rap- porto fusionale-incestuoso tra le generazioni.
Si tratta insomma di fantasmi tesi a negare la differenza tra le generazioni condivisi, per altro, da membri di generazioni differenti, com’è il caso di una madre e di un figlio. Gli oggetti idealizzati e diabolici che caratterizzano la mente del soggetto psicotico vengono così a costituire il segno di una man- cata umanizzazione, di un fallimento dell’emergere della persona in quanto tale.
Per inciso varrà la pena di ricordare come l’autore sottolinei l’impervietà di un cammino terapeutico compiuto con il solo paziente, anche se sostenuto dall’intensa frequenza delle sedute e dalla lunga durata. Selvini M. (in press) ha da parte sua evidenziato la frequente presenza di segreti familiari nelle condizioni di psicosi di figli adolescenti e giovani adulti.
L’autore con il termine “segreto” si riferisce propriamente al non- detto, all’occultato relativo ad eventi e fatti personali. In particolare rileva come l’escluso dal segreto sia proprio il paziente, o da solo o con i fratelli. Varrà la pena, a questo punto, connettere al segreto i sentimenti prevalenti.
Da un lato, infatti, annoveriamo la vergogna, con nessi più o meno ri- levanti con la colpa, dall’altro, invece, il riserbo. Come ben sappiamo la vergogna si lega a marchi d’infamia (azioni inde- gne e ignobili, vere e proprie macchie) e ad umiliazioni (disonore, onta). Brunetto Latini, che doveva in qualche modo intendersene, ha parlato in pro- posito di “passione d’animo, non virtude”. In verità la vergogna presenta anche risvolti positivi poiché spinge verso stati e condizioni ideali, certo è che non di rado espone la persona all’inaccet- tabilità ed all’irreparabilità di ferite all’amore-stima di sé. Troviamo invece il sentimento del riserbo, insieme a quelli della discre- zione e del riguardo, allorché c’è spazio intimo, allorché si è attivata una ge- losa custodia. Karpel M.A. (1980), a cui dobbiamo anche la distinzione dei segreti fami- liari in individuali, interni (tra due membri) e condivisi (verso l’esterno) e che opportunamente ha connesso il segreto all’ambito etico (la lealtà dei membri familiari), così come a quello dei rapporti di potere relazionale (chi sa e chi non sa; chi sa…), ha parlato in proposito di “accountability with discretion”. In ogni caso è soprattutto dal confronto tra famiglie funzionali e disfun- zionali che emerge la differenza cruciale. Di recente Cigoli V. (in press) ha inserito all’intero dell’ “Intervista congiunta familiare” la variabile “segreto” quale aspetto significativo della dimensione inerente l’incastro di coppia. Imber Black E. (1993) ha distinto tra segreti positivi (intragenerazionali), tossici (tali da erodere l’affidabilità relazionale) e dannosi (tali da dover essere bloccati, com’è il caso di abuso e incesto). Sono questi ultimi quelli che propriamente potremmo chiamare “sporchi segreti”. La distinzione sopra accennata ci introduce al tema del trattamento psicote- rapico.
Con regolarità, sia che incontriamo singole persone, sia che incon- triamo famiglie, noi ci troviamo, come psicoterapeuti, di fronte al segreto. Possiamo decidere di svelarlo, così come possiamo decidere di rispettarlo. L’una e l’altra decisione-azione abbisognano, com’è ovvio, di criteri utili a discriminare. I criteri, d’altronde, non si pongono nel vuoto, ma piuttosto s’iscrivono in una teoria clinica che a sua volta tocca e riguarda una filosofia della condizione umana.
Partiamo, per trattare dell’incontro con la singola persona, da Pirandello. Eligio Pellegrinotto, custode della polverosa biblioteca Boccamazza, con- vince Mattia Pascal a scrivere un libro della sua vita con la promessa che serberà il segreto, “né più né meno come fa il prete in confessionale”. Come sappiamo egli trasgredirà il patto, d’altra parte Pascal ha scelto di lasciarsi sedurre poiché non ha più un rapporto vivo con la vita e gli rimane solo la lotteratura…
Nella relazione paziente-psicoterapeuta il segreto può assumere una conno- tazione seduttiva che impaccia e vincola, ma può anche essere il segnale di una svolta relazionale. È il caso di adolescenti e giovani che confidano, tre- pidanti, di aver coltivato un progetto. E solo nella fiducia sentita e provata nel rapporto che è possibile coltivare un progetto. Ma passiamo allo scenario familiare rifacendoci ancora una volta a Pirandello. Come si ricorderà in Sei personaggi in cerca d’autore la commedia non può essere rappresentata perché ciò che trapela è un rapporto incestuoso tra padre e figlia. La psicoterapia familiare si è proposta, tra gli altri, il compito di affron- tare anche l’orrore dell’incesto.
Per Cirillo S. (1990) è la conflittualità co- niugale e la distanza madre-figlia che costituisce il nucleo inaccessibile del segreto e per Vassalli A. (1993) è proprio dal segreto incestuoso che sta va- cillando che occorre partire pensando prima di tutto a proteggere la vittima.
In presenza, invece, di segreti “tossici” è da considerarsi segno prognosti- camente favorevole il fatto che tali segreti vengano depositati nella relazione terapeutica. Ciò indica, infatti, che c’è la fiducia di trattare i sentimenti di vergogna e colpa e la speranza di poter essere compresi dagli altri membri familiari. Va da sé che è solo la presenza di un’adeguata cornice terapeutica che permette l’elaborazione collettiva della sofferenza.
Bibliografia
- Cigoli V., Tossicomania, L'inibizione della generatività nello scambio generazionale, Angeli, Milano, in press.
- Cirillo S., La famiglia incestuosa si può curare?, in Malacrea M., Vassalli A.(Eds), Segreti di famiglia, Cortina, Milano, 1990.
- Imber Black E., (Ed), Secrets in Families and Family Therapy, Norton, N.Y.
- Karpel, "Family Secrets", Family Process, 19, 295-306, 1980.
- Selvini M., "Psicosi e segreti familiari: quando il paziente non sa", Terapia Familiare, in press
- Vassalli A., "Adolescenza e abuso sessuale intrafamiliare: problemi di intervento", Adolescenza, 4, 1, 21-37, 1993.
- Zapparoli P., La psicosi e il segreto, Boringhieri, Torino, 1987.