Non è la prima volta che dedichiamo un numero della nostra rivista al tema della separazione coniugale e non. Di fatto anche questo argomento risulta, in sé, interminabile. La complessità che sempre ne ha caratterizzato gli aspetti, sembrerebbe, anch’essa, continuare a ripresentarsi. Non si tratta di una sorta di coazione a ripetere, che non è certo nostra intenzione agire, ma, piuttosto, l’insistere di e su un argomento impegnato ad individuare una direttrice che modifichi, quando utile e necessario, la propria traiettoria. Sono innumerevoli gli accadimenti che operano e gravano sul modo di intendere e concepire il senso del legame e/o della sua scissione. Superato il dominio dell’assolutezza dell’intrapsichico/pulsionale, lo psicoanalista si confronta, oltre che con diversi e alternativi modelli teorici, anche con una dimensione multidisciplinare che non può essere ignorata. Lo scopo di questo numero della rivista non consiste, però, nel raccogliere una serie di lavori che sostengano la necessità di “salvare” quante più relazioni in via di dissoluzione ‒ operazione che risulterebbe essere “solo” un’esibizione, nel nostro ambito, del più inefficace buon senso ‒ quanto di stimolare un dialogo corale che metta in luce gli aspetti trasformativi o involutivi del divenire di un legame che, in ogni caso, e per un considerevole periodo dell’esistenza, ha inciso e continua ad insistere sulla vita di coloro che lo hanno vissuto.
Sono diversi gli autori che, negli anni, hanno collaborato con Interazioni per esprimere il proprio punto di vista su un tema tanto coinvolgente. Professionisti di psicoanalisi di coppia e di famiglia, ma anche di psicoanalisi individuale, hanno contribuito ad ampliare il dibattito declinandolo nelle diverse voci contigue. Stiamo parlando dell’origine delle vicissitudini del legame; dello schema che detta il passaggio obbligato dalla separazione all’individuazione; dell’ingaggio dell’analista nella terapia di coppia in relazione alla sua propria vita di relazioni intime e alle proprie convinzioni etiche e molto altro. Nel 19951 Emilio Masina, Giovanna Montinari e Renata Tambelli hanno trattato di Famiglia e separazione: tra vicende reali e fantasmatiche, avvalendosi della preziosa collaborazione di Giulio Cesare Zavattini, Salvatore Grimaldi, Katia Giacometti, Marisa Pittalunga, Chiara Cattelan, Luigi Scoppola e proponendo sul tema un interessante confronto/dibattito tra Diomira Petrelli e Renzo Carli.
Nel 2006 Gabriela Tavazza2 ha curato un numero, arricchito dai lavori di Carl Bagnini, Daniela Lucarelli, Sonia Kleiman, Anna Maria Nicolò, Gemma Trapanese e Tavazza stessa, che tratta della vita onirica della coppia e di come questa possa ampliare il processo terapeutico di coppia all’interno della narrativa allargata (setting di gruppo, coppia, o famiglia). Quattro anni fa, nel 2020, Cristina Bonucci e Francesca Enuncio, hanno realizzato un numero, La separazione che cura3, che si avvalse dei contributi di professionisti del campo e non; tra questi: Anna Maria Dalba, Giovanna Montinari, Maria Silva Soriato, Marina Mombelli, Diana Norsa, Fabrizio Rocchetto e, nella sezione Intervista/dibattito, le prospettive a confronto di Della Passarelli4, Ugo Sabatello5 e Stefania Votano.
Quest’ultimo numero è stato elaborato durante l’epocale cambiamento delle condizioni di vita causato dall’evento Covid-19, pandemia che ha avuto «un profondo impatto sulla famiglia, la coppia, le cure parentali e gli individui tutti, a vari livelli: affettivi, sociali, economici» (Bonucci e Enuncio, 2020, p. 8) tuttora attivi. La redazione della rivista, alla luce delle trasformazioni sociali e culturali, sotto la lente dell’ampio spettro dei cambiamenti e degli avvenimenti che si succedono, si è confrontata su un tema che ci è parso inedito e che ci pone di fronte a diverse domande: qual è il destino di una separazione nell’arco della vita di un individuo? In quale modo un legame, più o meno duraturo, ma soprattutto persistente nell’interiorità di ciascuno, più o meno conflittuale, scandito dalla nascita dei figli, dalla realizzazione dei progetti condivisi o dai lutti, dai tradimenti e dalle promesse, incide sulla trasformazione dell’individuo o ne cristallizza le caratteristiche, patologiche e non? Quale l’eredità, cospicua o esigua, e in virtù di quali processi, potrà essere trasmessa da un investimento psicoaffettivo tanto protratto, ormai giunto alla sua conclusione, tanto intenso quale il legame di coppia?
Nel lavoro con le coppie e nel trattamento individuale, motivato dalla sofferenza coniugale, è necessario offrire spazio e tempo alla riflessione di un simile lascito. Non si tratta di capire a chi debba essere attribuita la colpa del fallimento, validare o invalidare le ragioni di uno o dell’altro, individuare la vittima e il carnefice; una simile assegnazione saturerebbe la possibilità di esplorare motivazioni e interrogativi che possono far luce su significati, bisogni e motivazioni riconducibili alla scelta originaria del partner e alle sue ragioni profonde. Si tratta piuttosto di interrogare le difficoltà, i vantaggi e le opportunità che conducano a comprendere cosa possa essere utile o nocivo del vissuto di un’esperienza totalizzante come la relazione di coppia. Quali aspetti di un legame tanto centrale nell’esistenza di un individuo, contribuiscono alla trasformazione della sua personalità e quanto l’esperienza dell’altro e con l’altro persiste o meno, seppure in differente forma, nell’esistenza stessa dopo la separazione? Quali condotte di modelli relazionali ripetitivi e fissi e quali occasioni di cambiamento e di valutazione dei propri schemi o della loro potenzialità, in virtù di un’esperienza tanto dolorosa, possono essere considerate trasformative? Quale pletora di elementi concorre nel rendere terminabile o interminabile una relazione? In sintesi una lunga serie di domande che potrebbero ridursi ad una sola: lasciarsi e poi? L’origine e il destino della relazione sono i temi a partire dai quali Cristina Bonucci e Rosetta Castellano aprono la riflessione. Il loro articolo Essere senza l’altro: processi terminabili e interminabili nella separazione della coppia considera come separazione e divorzio incidano sulla psiche dell’adulto impegnandolo in uno sforzo che ne modifichi l’esistenza in termini relazionali. Due brevi vignette cliniche evidenziano differenti destini contrassegnati da un adattamento alla separazione che può comportare evoluzione o involuzione nel modo in cui l’esperienza si integra nello stile di vita, nella risoluzione della sua dinamica o nell’impossibilità di terminare anche quando la relazione si è già conclusa, o anche attivando un funzionamento di attaccamento disorganizzato a seguito della minaccia del trauma dovuto alla separazione.
Il tema della fusionalità, che impedisce la separazione, è proposto da Paolo Boccara, che attingendo al pensiero di Loewald e Mitchell, nell’accezione della “densità affettiva indifferenziata” anche pre-riflessiva, propone, nel suo articolo “Con te…senza di me”. Esperienza primaria indifferenziata come matrice di processi di separazioni interminabili, l’incontro con lo psicoanalista, quale opportunità per esplorare una simile configurazione relazionale che amplifichi la dimensione spazio-temporale e che favorisca la manifestazione dell’interiorità soggettiva del paziente e il suo divenire. L’articolo è arricchito dal suggerimento della visione di due lungometraggi: Amour (di Michael Haneke, 2012) e il più recente Past Lives (di Celine Song, 2023). Felicia Cosentino, avvocato matrimonialista, evidenzia come distacco emotivo e percorso legale non sempre si esprimono e si risolvono contemporaneamente. La diacronia che ne deriva può comportare separazioni interminabili anche in virtù delle difficoltà delle procedure legali, oltre che emotive, che le accompagnano. Nel suo contributo Lasciarsi mentre ci si separa: diversità tra il percorso emotivo e il percorso legale, Cosentino, quale avvocato familiarista, suggerisce l’affiancamento di un supporto psicologico che sinergicamente operi per evitare complessità e complicazioni, o soprattutto confusioni di ruolo, che potrebbero comportare rallentamenti drammatici se non arresti nel procedimento legale in atto. Uno spazio significativo è dedicato alla separazione irreversibile che comporta il lutto. Ondina Greco, nel suo contributo Dare parole al dolore: il processo di simbolizzazione dell’assenza, ci suggerisce, attraverso brevi esempi clinici, una riflessione sulla possibilità di riconoscere e integrare, attraverso il trattamento psicoterapeutico, la perdita di un legame altamente significativo nella nostra esistenza. Nella terapia è possibile realizzare un luogo che permetta l’elaborazione del passaggio indispensabile dal legame reale al legame simbolico quale dimensione che contenga la memoria e il significato di ciò che è stato e non è più. A questo proposito, nella sezione Leggere le emozioni si inserisce il lavoro di Cristina Bonucci, La consapevolezza del limite, una riflessione sul testo a due mani di Irvin D. Yalom e sua moglie Marilyn: Una questione di morte e di vita, sul senso del legame alle soglie e di fronte alla morte; sull’esperienza della perdita e di quello che del “noi” resta, oltre la separazione ultima nella quale, colui che rimane, può scorgere una nuova prospettiva. A seguire, Silvia Lepore, con il suo articolo La sedia vuota. Il posto dei figli nella separazione dei genitori, tra psicoanalisi e diritto, integra e arricchisce il testo di Cosentino attraverso la rivisitazione, in chiave psicoanalitica, di un lavoro già eleborato nel periodo in cui lei stessa era alle prese con il delicato passaggio dalla professione di avvocato a quella di psicoanalista. Il testo sottolinea la commistione tra differenze, similitudini e interferenze del diverso operare di due diverse figure professionali che affrontano, contemporaneamente, seppure con differenti responsabiltà e da due significative angolature, una dimensione che coinvolge il contesto molto più ampio e complesso della coppia.
Il numero dedica poi uno spazio ad un argomento tanto drammatico quanto attuale: lo stalking. Lucia Pancheri, con il suo articolo L’incapacità di separarsi in un caso di stalking amoroso, mette a fuoco l’impossibilità di separarsi fino al punto di tentare il suicidio. Un caso clinico illustra i diversi fattori che possono incidere in casi tanto disperati: incapacità di elaborazione del lutto, fragilità del Sé, irrisolte tematiche transgenerazionali, stile disorganizzato di attaccamento e altro ancora.
La sezione dedicata alle Esperienze cliniche accoglie gli articoli di Giancarlo Di Luzio e Maria Grazia Chiavegatti, entrambi volti a esplorare il tema della separazione alla luce della prospettiva dei sistemi intersoggettivi, della psicoanalisi relazionale e soprattutto della psicologia del Sé.
Lo scritto di Di Luzio, Relazioni terminabili e interminabili: separazioni sospese e oggetti preziosi, propone i casi di quattro pazienti che sostengono l’ipotesi che la sospensione “sine fine” sia da riferirsi a “oggetti interni” o meglio “oggetti Sé” che non possono essere perduti, né tantomeno sostituiti. Al centro dell’articolo si pone il tema dell’idealizzazione dell’oggetto, sia attuale che, nelle proprie funzioni, arcaica, mai ridimensionata. Maria Grazia Chiavegatti propone un testo, Liv: lo spegnimento delle risorse vitali in una relazione di coppia, che riguarda il complesso trattamento di una paziente suicidaria a seguito di una grave depressione intervenuta dopo la separazione coniugale. L’ipotesi teorica dell’autrice si focalizza sulle conseguenze del fallimento dovuto a inadeguate cure materne. I traumi, patiti in età precoce, ostacolano lo sviluppo di un Sé autonomo e coeso che favorirebbe ottimali competenze relazionali, nelle specifiche fasi della vita. Riferimenti teorici, come, tra gli altri, la teoria polivagale di Porges, argomentano e mostrano l’emergere della passività della paziente e le difese inadeguate ad affrontare la ferita inferta dalla rottura del legame coniugale.
A chiusura della sezione del numero dedicata ai contributi teorico-clinici, vengono inseriti ‒ nella rubrica Fuori Focus ‒ due interessanti lavori di Goriano Rugi e di Gabriele Scapellato. Rugi propone una lettura del campo analitico nelle supervisioni di gruppo, partendo dall’ipotesi che il campo si strutturi intorno a pattern relazionali che tendono a ripetere relazioni d’oggetto primarie, fantasmi originari, scene traumatiche, parti scisse che vengono messe in scena nel gruppo-équipe.
Sebbene la visione proposta resti prevalentemente centrata sul soggetto, l’autore tiene conto della continua oscillazione relazionale tra soggetto e gruppo, proponendo una lettura integrata tra modelli monopersonali e concezioni di campo transpersonali. Gabriele Scapellato nel suo articolo L’emozione Condivisa. Narrazione e metafora nella terapia di coppia propone una visione della coppia, e dei singoli partner, come un complesso intreccio di scene, voci, musiche e trasposizioni inserite in un sistema complesso e strutturato di dinamiche intersoggettive e interpersonali. Nella terapia di coppia, l’autore promuove la comprensione e l’adattamento reciproci utilizzando la narrazione e la metafora come strumenti per scavare nel conflitto, per facilitare la comprensione delle dinamiche più intricate e, laddove possibile, consentire una ristrutturazione dell’interazione tra i partner.
A partire da questo numero della rivista, la rubrica Immagini (fondata e condotta per molti anni dal collega Paolo Boccara e poi brevemente diretta da Gemma Trapanese), prende una nuova veste sotto la guida di Clelia De Vita, che intende allargare lo sguardo al contributo che le varie forme d’arte possono offrire alla comprensione dei processi e delle dinamiche di coppia e famiglia. La rubrica si propone di arricchire il dialogo già avviato nella rubrica Immagini, inserendo suggestioni a partire da opere pittoriche, teatrali, musicali, che possano focalizzare, dal vertice creativo, aspetti e processi relativi all’argomento del numero, permettendo di esplorare come i temi relativi alla coppia e alla famiglia sono stati rappresentati nell’arte. Come i sogni, le arti danno forma e figurazione a ciò che è ancora non ha trovato modo di essere comunicato; mediati da contenuti artistici, ci troviamo a cogliere più facilmente processi e conflitti psichici, dato che possiamo sospendere il giudizio e sostare in un’area di illusione per tornarne arricchiti alla realtà. In linea con la visione freudiana che attribuiva ai poeti la capacità di comprendere prima ciò che la psicoanalisi avrebbe cercato di spiegare poi, Clelia De Vita ritiene che l’espressione artistica offra intuizioni dei processi inconsci, psichici, corporei ed emotivi che trovano, nell’intuizione dell’artista, una messa in forma condivisibile; basti pensare che è dalla tragedia greca che è stato mutuato uno degli organizzatori psichici fondamentali come il complesso edipico. Sappiamo che le tracce sensoriali senza parola vengono ospitate nell’inconscio non rimosso e che riemergono attraverso creatività e sogno.
L’idea di fondo è che l’opera d’arte possa fornire “una chiave di volta”, una trasposizione sensoriale armonizzata, al tema del numero. Spigolando qua e là all’interno dell’inesauribile patrimonio delle arti, verranno proposte di volta in volta inserti culturali-artistici scelti per assonanza ai contenuti del numero, a cui verranno associate le suggestioni dell’analista di coppia e famiglia, come un invito a giocare con le tracce dell’inconscio che le arti, dal figurativo al musicale, rendono più assimilabili. Ci auguriamo, pertanto, che le pagine della rubrica, venendo da ultimo, possano costituire la nota di volta nell’architettura del volume, nota di accordo o di creativa dissonanza.